Scuola adulti: non si viene solo per la licenza
Nel 1979 numero e qualità dei risultati hanno continuato a migliorare: i promossi agli esami sono stati 60, di cui 38 adulti e 22 giovani. Come già da un po’ di tempo, gli allievi che hanno più di 18 anni vengono inseriti nelle due classi “adulti” (che fanno solo un anno di scuola), gli altri costituiscono la classe “giovani” che dura invece due anni.
Nello scorso ottobre, pur essendoci imposti un “tetto” di 60 iscritti adulti – perché le nostre aule non ne ospitano di più – abbiamo dovuto arrivare a 66 (e altri sono stati rifiutati perché iscritti troppo in ritardo, senza contare quelli indirizzati, quando era possibile, alle 150 ore). Diversi i luoghi di provenienza: ancora molti dal Sud e dal Veneto, ma in aumento anche i nati in Lombardia: sono i figli degli emigrati degli anni ’50 e ’60.
Aumenta anche la percentuale di donne, casalinghe e non, che avevano interrotto gli studi (e il lavoro) per il matrimonio e per i figli e ora cercano di risolvere il problema di un nuovo lavoro o di una “uscita” dal lavoro domestico. Ma anche fra gli uomini emerge spesso l’esigenza, non solo della licenza, ma di un più generale interesse culturale.
Che la situazione sia mutata lo si avverte anche dagli argomenti: la salute o il problema dei farmaci interessano più del sindacato. E sono mutati anche gli insegnanti: per molti l’impegno serale al Lombardini viene vissuto come una “militanza” in cui si cercano maggiori gratificazioni di quelle vissute altrove.
Attualmente gli insegnanti sono 42 (16 per i giovani, 26 per gli adulti): i “nuovi” portano spesso una notevole disponibilità e ventate di aria fresca, mentre la “vecchia guardia” si occupa prevalentemente delle classi “adulti”. Verso tutti questi collaboratori la nostra responsabilità è grande, proprio perché c’è spesso l’esigenza di stabilire un rapporto con noi che vada oltre le ore di lezione. Anche gli ex allievi che tornano ad insegnare (2 o 3 ogni anno) sono essenziali per la continuità e per l’affiancamento ai nuovi insegnanti, per mediare certi discorsi troppo “intellettuali”: quest’anno l’unico insegnante degli adulti che fa due sere a settimana è proprio un ex allievo.
Scuola giovani: un anno in più per stare insieme
Con l’ottobre di quest’anno è iniziato il biennio della classe giovani: l’anno prossimo cioè non ci saranno nuovi iscritti sotto i 18 anni. Una scelta di qualità anziché di quantità, maturata dopo un anno particolarmente difficile: anche se, come già ricordato, a giugno abbiamo avuto 22 promossi, il che è un record per i “giovani”. Fatto sta che questi ragazzi, dopo un anno di frequenza tanto regolare quanto “casinista”, spariscono. Di quasi tutti loro non sappiamo più nulla: pure dovremmo riflettere sul fatto che l’anno dopo arrivano al Lombardini i loro amici …
La decisione dei “due anni” si propone anche di colmare, in parte, questo “vuoto” del dopo esami: dovremo verificare se è stata giusta.
Per ora l’idea di frequentare due anni non ha frenato che in minima parte le iscrizioni del ’79 che sono 20. L’età media è scesa ancora (poco sopra i 15 anni); 8 ragazzi sono stati bocciati in terza media (2 per la seconda volta dalla stessa scuola!); 5 sono disoccupati e anche gli altri hanno un lavoro precario o comunque non in regola. L’inizio dell’anno appare positivo come costruzione di un rapporto personale e collettivo nella classe: e la gita di tre giorni ad Agape (9 di loro vi hanno partecipato) è stata positiva proprio per tutti i momenti vissuti insieme, dai giochi, ai turni in cucina, alle passeggiate, ai balli.
La validità di questo “biennio” dipenderà anche molto dagli insegnanti e dalla loro “disponibilità” a “farsi ringiovanire”; quest’anno vi è stato un notevole ricambio e sono state introdotte materie meno “impegnative” come le attività libere e la ginnastica presso una palestra di una scuola di Cinisello: insieme a quelle più “tradizionali” (italiano, matematica e storia) dovrebbero servire, in questo primo anno, a creare un clima di amicizia fra gli alunni su cui far leva nel secondo anno, più finalizzato al risultato scolastico.
L’importanza della storia
Pur diversificate nei programmi e nel tipo di insegnamento, le classi degli “adulti” e dei “giovani” mantengono una forte sottolineatura degli aspetti “storici” e “scientifici”. Con i giovani si punta a far recepire il senso delle trasformazioni culturali, sociali e politiche dal dopoguerra ad oggi, con gli adulti si ripercorrono (sia pure a grandi linee) gli ultimi 100 anni di storia mondiale.
Questa scelta, ribadita nel ’79, non è certo scontata e negli anni passati vi è stato un certo dibattito con altre scuole popolari su “quale storia” si dovesse insegnare: se la storia propriamente detta, oppure una ricostruzione del presente che partisse dal “vissuto” di ogni singolo allievo e solo molto limitatamente desse riferimenti più generali.
Ma, a parte il fatto che si insegna bene soltanto quello che si conosce (e i nostri insegnanti di storia sono in gran parte intellettuali di formazione umanistica), constatiamo con sorpresa crescente, col passare degli anni, che l’interesse dei lavoratori non è direttamente legato all’identità fra quanto ascoltano e quello che vivono ogni giorno. L’interesse nasce se mai dal fatto che quanto si impara offre nuove possibilità di interpretazione dell’esperienza quotidiana alla luce di quanto avviene o è avvenuto in passato.
Questa nostra scelta culturale si propone, da un lato, di non fare un’operazione di stampo gesuitico in cui, in un modo più o meno democratico, si cerca di far giungere agli allievi un determinato messaggio ideologico; dall’altro di combattere una visione statica, retorica e spesso addirittura “magica” della realtà (in primo luogo politica e sociale) che la scuola e i grandi mezzi di informazione hanno contribuito a formare nei lavoratori.
Non è un compito facile, ma non possiamo dire che non abbia dato dei frutti.