2008 - Tredici anni al Lombardini - Centro Culturale Jacopo Lombardini


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2008 - Tredici anni al Lombardini

Quando penso alla grande stanza del IV piano di Via Monte Grappa nella quale, con Davide e Roberta, ho passato molto tempo dei nostri tredici anni al Lombardini ( 1979-92) insieme al tavolo mi viene immediatamente in mente la parete di fronte, quella che chiamerei “dei dibattiti” perché sopra il divano c’era una stecca in legno sulla quale attaccavamo tutti i manifesti preparati per lo più da me , con disegni e pennarelli, nonché quelli per le riunioni del “gruppo biblico”che annunciavano i dibattiti organizzati dal Centro culturale, A settembre poi non mancava mai quello stampato in rosso e nero , per le iscrizioni ai corsi serali, che avremmo attaccato sui muri delle strade di Cinisello, uscendo a gruppetti, dopo cena, con la colla preparata nel secchio e gli spazzoloni. L’attività culturale, oltre all’insegnamento dell’italiano a scuola, fu quella che il gruppo ritenne la più adatta per le mie capacità e mi affidò fin dalla nostra venuta: a Roma avevo diretto per parecchi anni la rivista “gioventù evangelica”, me la cavavo bene a scrivere e a parlare, avevo un buon numero di contatti e di conoscenze. Roberta invece si occupò piuttosto dei giovani, del coordinamento pace, del gruppo donne oltre che della segreteria e delle tantissime telefonate.
La presenza culturale del Centro Lombardini, durante i miei anni, fu così caratterizzata in due direzioni, del resto fra di loro collegate: a) il progressivo allargamento da temi prima quasi esclusivamente legati alla fabbrica, al sindacato , alla condizione operaia verso un ambito assai più vario, dai temi che oggi si chiamerebbero eticamente sensibili, a quelli dei rapporti interpersonali, alla qualità e al senso della vita, all’inconscio, alla pace, alle religioni, al diverso, al leghismo (affrontato con tempestività già nel 1991 come “ragioni di una protesta e ambiguità di una risposta”, infine alla complicata questione dell’immigrazione; b) lo stimolo nei confronti dell’Assessorato alla Cultura, realizzatosi all’interno del Coordinamento dei Circoli culturali della città, affinché esso si facesse carico della promozione e del sostegno di veri e propri corsi aperti ai cittadini, che valorizzassero le diverse caratteristiche di ogni Circolo e offrisse, nella bella cornice della restaurata Villa Ghirlanda, una proposta culturale di qualità e rivolta a interessi diversi.

Il coordinamento dei Circoli Culturali

Il nostro Lombardini fu in prima fila in questo Coordinamento e si fece carico di alcuni corsi particolarmente riusciti: da quello dedicato all’inconscio, a uno su Dio, a un altro sull’amore e a quello su liberté, egalité, fraternité, del 1989, con un magistrale intervento di Luigi Pintor.
Nei miei anni di permanenza al Lombardini di dibattiti ne ho organizzati circa 120!. La maggior parte erano delle chiacchierate nei locali del IV piano: c’erano spesso dei problemi con i condomini disturbati dall’andirivieni su e giù per le scale e per il cicaleccio che spesso continuava sul pianerottolo al momento dei commiati. Molti di loro erano operai, che si alzavano alle 4 o alle 5 : noi facevamo rumore fino a mezzanotte, magari con un dibattito nel quale si era parlato della condizione della classe operaia! Ma al di là dell’inevitabile disturbo prodotto oggettivamente dalla presenza di un Centro culturale dentro un normale condominio, il nostro lavoro era apprezzato e proprio alcuni degli abitanti del palazzo partecipavano anche a qualche serata, dicendo la loro. Specialmente le donne.
Si pensa in genere che per organizzare un dibattito ben riuscito basti un bel titolo e un bravo oratore. In realtà è tutto il lavoro al contorno che conta: la scelta della data e della serata ( attenzione alle partite!), la propaganda, le telefonate… A me spesso veniva l’ansia non tanto per le cose da dire ma per la paura che, all’ultimo, gli oratori mi dessero la buca ( tipico dei politici), per l’andare a prenderli alla stazione o all’aeroporto e per quelle due ore da passare con loro, specie se non li conoscevo… Poi però, appena varcata la soglia della Comune tutto diventava più facile, ci sedeva al tavolo per la cena e il gruppo accoglieva l’ospite in modo molto naturale e spontaneo…

La questione dell’immigrazione

Per tornare al Coordinamento dei Circoli: negli anni l’iniziativa si sarebbe sviluppata anche in altre direzioni, diciamo, più “militanti”: nel 1986, sempre con lo stimolo del Lombardini, si costituiva un Coordinamento Pace, che avrebbe rivolto la sua attenzione soprattutto alle scuole superiori del territorio, mentre a partire del 1990, con un corso organizzato insieme al Comune iniziava un’attività di informazione su temi dell’immigrazione. Contemporaneamente, con il manifesto del 1990 il Lombardini si rivolse direttamente anche agli stranieri organizzando corsi serali di italiano e la Comune ospitò o accolse, in certi caso a pieno titolo, alcuni di loro. E’ giusto ricordare, a questo proposito e anche in collegamento con il dibattito assai vivo nel mondo protestante italiano sulla questione immigrazione, e sul ruolo delle nostre chiese, che, mentre sull’organizzazione di corsi di italiano per stranieri l’accordo nel Lombardini fu unanime e grande l’impegno di collaboratori esterni, molto più discussa fu la possibilità o meno che il Centro potesse essere un luogo di accoglienza, o riconvertirsi in tale direzione. Molto azzeccati si rivelarono invece alcuni, limitati, inserimenti a pieno titolo di amici immigrati nel nucleo della comune.
Sempre come esempio della “diversificazione” che il Lombardini ha saputo esprimere negli anni ’80, occorre menzionare il gruppo donne, nato in sordina nel 1980 e poi rivelatosi come uno dei momenti ‘fissi’ più regolari: una volta a settimana, di pomeriggio, questa riunione è stato punto di riferimento per ex-allieve, per altre casalinghe, donne del caseggiato. Non un gruppo femminista in senso ideologico, ma il fatto di riunirsi fra donne per confrontarsi su tante questioni, dai figli alla violenza, o anche solo per progettare un viaggio insieme o imparare qualche lavoro creativo è stato molto importante e i legami creati fra le persone si sono prolungati nel tempo.

Quale diaconia?

Vi è un secondo aspetto del mio esser stato parte del Lombardini che mi preme sottolineare e che riguarda il modo di essere di quest’opera all’interno di quella che, nelle nostre chiese, si chiama la diaconia. Innanzi tutto, con Roberta, accettammo l’invito a venire a far parte della comune perché, oltre a conoscere molte persone che ne facevano parte, vedevamo nel Lombardini un tentativo concreto di coerenza tra il dire e il fare. Nella Fgei e nel Mcs ( le organizzazioni giovanili evangeliche in Italia) avevamo parlato molto del rapporto tre fede e politica e ci eravamo interrogati sul senso di una testimonianza evangelica all’interno del proletariato e della lotta per il socialismo: avevo l’impressione che a Cinisello questa cosa fosse stata presa sul serio e che ci si stesse provando concretamente. Inoltre l’impostazione che il gruppo fondatore aveva dato al Centro corrispondeva al nostro modo di intendere l’impegno sociale, e, appunto la diaconia o il servizio: non grandi strutture, non nuove costruzioni, non progetti pensati dall’esterno e calati dall’alto, non personale retribuito e di conseguenza bilanci modesti senza alcun rischio per la chiesa in caso di crisi o di chiusura. Una diaconia a misura delle nostre spalle, fondata sulla disponibilità delle persone e del loro tempo libero dal normale lavoro. Penso che indubbiamente si tratta di una diaconia fragile e provvisoria, ma anche che il radicamento in una situazione specifica, la condivisione della vita e dei suoi problemi con la gente del posto e la progettazione, dall’interno di quel contesto, delle cose da fare, siano delle condizioni fondamentali per la testimonianza.
Dentro il Lombardini e soprattutto nel nucleo portante della Comune mi sono mosso secondo queste linee e le stesse ho portato all’interno della Chiesa valdese, in anni in cui si è sviluppata una contrastata discussione se accettare o meno le quote dell’otto per mille Irpef per la diaconia ( e la cultura) e che mi hanno visto anche membro della Tavola valdese.

Il problema dei finanziamenti

In certi momenti, di debolezza del nucleo o di fronte a nuovi compiti come il lavoro con gli immigrati, abbiamo riflettuto sull’opportunità di rendere più istituzionale il nostro lavoro, ricercando finanziamenti e stipendiando dei collaboratori. Sarebbe anche stata una strada possibile,ma, a parte qualche temporaneo mezzo tempo, non si andò in tale direzione che personalmente mi lasciava molto perplesso anche perché trovavo estremamente problematico utilizzare quella sede ( degli alloggi in un condominio ). Già non era stato facile per la scuola.
Del resto, un punto sul quale mi impegnai molto, soprattutto dopo esser subentrato a Marcella nella funzione di responsabile dell’amministrazione, fu sempre l’ autonomia finanziaria del gruppo. Con il sistema di quote proporzionali al reddito che la Comune si era dato, tutte le spese di vitto, di pulizia, di manutenzione, di riscaldamento e condominio venivano coperte dal gruppo mentre i doni degli amici italiani ed esteri erano utilizzati per le attività della scuola, della cultura, dell’evangelizzazione, ecc. Il sistema reggeva bene quando la Comune era numerosa, composta da persone occupate stabilmente con stipendi dignitosi.Con giovani precari o stranieri vi erano più difficoltà a mantenere l’autosufficienza. Ma mi feci un punto d’onore nel non toccare mai, per le necessità della Comune, ciò che veniva dato al Lombardini, e questo significò anche qualche difficoltà nei rapporti personali e qualche richiamo alle regole che ci eravamo dati insieme. In certi casi ho dovuto assumermi il ruolo di essere non solo autorevole, ma anche un po’ autoritario: in certi casi ci vuole un richiamo all’ordine, in certi casi bisogna assumersi lo spiacevole compito di dire a qualcuno: così non va. Lo abbiamo fatto, lo ha fatto Roberta con gli impossibili minori a rischio ( a rischio degli altri oltre che di se stessi), l’ho dovuto fare io con qualche componente del gruppo. Per vivere insieme bisogna innanzi tutto saper vivere da soli, guai a riversare tutti i propri casini personali in un collettivo.
In un articolo su “La luce” del novembre 1984, riferendo su un bel ciclo di studi che avevamo organizzato come gruppo biblico sul tema dell’etica, dei rapporti interpersonali, scrivevo: « Abbiamo detto che è importante vivere, ma è fondamentale imparare a vivere. Vivere non è un sentimento, non è qualcosa che sorge spontaneamente dentro di noi, non è neanche la ricerca dello star bene, della felicità. E’ un mestiere, come diceva Pavese, dunque un mestiere che si impara. Se non si vuole che il nonsenso prevalga, bisogna spendere parecchie energie in questo apprendistato, molte energie nei rapporti con gli altri; se si vuole che la vita abbia un senso bisogna metterci della passone e della fattca, non solo delle attese. Imparare a vivere: per non viversi addosso e per non vivere addosso agli altri ».
Sono parole valide e per me, per molti di noi, la Comune è stato un pezzo decisivo di questo apprendistato.

Le relazioni annue

Non posso concludere questi pochi appunti sul “ mio” Lombardini senza accennare ad un’altra cosa che ho fatto con particolare passione: la redazione della Relazione Annua che veniva inviata ad un migliaio di indirizzi e costituiva un canale importante di collegamento con amici e sostenitori, in Italia e all’estero ( ad un certo punto se ne fece anche una versione in inglese). L’esperienza di aver diretto una rivista, anche lì con un lavoro del tutto artigianale, mi portò a migliorare progressivamente l’impaginazione della Relazione, che, fino al 1979, era stata un modesto ciclostilato: cominciai ad inserire riquadri, volantini, fotografie ( sia pure un po’ scure) e soprattutto disegni, che graficamente erano più efficaci. In certi casi queste immagini hanno un valore storico: ad esempio quelle delle fabbriche ( Pirelli, Falck, Breda) che inserii sulla relazione del 1984 prima che iniziasse la grande trasformazione urbanistica su Viale Sarca. E finalmente, con l’anniversario dei 20 anni del Lombardini, inserimmo il testo della relazione in una copertina a colori piena di belle fotografie di persone e momenti di attività. Prima della stesura definitiva, attaccavo il testo in bozza alla bacheca della Comune sollecitando commenti e integrazioni, spesso chiedevo dei contributi specifici sulle varie attività e poi mi mettevo al lavoro , avendo in testa che la relazione doveva essere, al tempo stesso, una lettura della nostra situazione, di Cinisello, delle attività, ma anche una interlocuzione con la chiesa valdese e con la diaconia. Da questo punto di vista credo di poter dire che la documentazione rappresentata dalle Relazioni Annue , oggi presenti sul sito e consultabili presso l’Archivio della Tavola Valdese a Torre Pellice, costituisce lo strumento più puntuale per la conoscenza della storia del Lombardini. Proprio perché esse sono state scritte anno dopo anno, a caldo, sull’onda dei fatti e delle emozioni, con la registrazione di tutti i cambiamenti nella composizione del gruppo: non si tratta perciò di una riflessione a posteriori, inevitabilmente influenzata dal presente. ma di un vissuto autentico.
Marco Rostan

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