1983 – Tra metodi e contenuti

E' duro, per chi lavora tutto il giorno, ‘tenere’ da ottobre a giugno

Quando, a settembre, diamo il bianco nelle aule della scuola che, specialmente nel reparto “giovani” portano segni evidenti di una frequenza piuttosto agitata, e sui muri di Cinisello attacchiamo i manifesti per le iscrizioni, ci domandiamo spesso se verrà ancora gente a frequentare i nostri corsi. In realtà anche il 1983 ha visto parecchi allievi al Lombardini: ne abbiamo presentati 49 agli esami di giugno, e tutti sono stati promossi. A ottobre abbiamo avuto oltre 80 iscrizioni per il 1983/1984 e una cinquantina frequenta regolarmente: questo calo tra iscritti e frequentanti è normale, e dice in pratica quanto sia duro, per chi lavora tutto il giorno, ‘tenere’ da ottobre a giugno, due ore ogni sera!

In un recente bilancio sulle 150 ore nella provincia di Milano, si affermava che “il recupero dell’istruzione di base è ancora un grosso problema e ci sono ancora quote rilevanti di popolazione interessata a questi corsi”. Sembra dunque che, anche per noi e per i prossimi anni, il problema principale non sia quello di trovare allievi, ma piuttosto quello della qualità dei nostri corsi. Una qualità che risponda efficacemente al notevole mutamento in atto fra gli allievi di oggi e quelli di 4 o 5 anni fa, che permetta una preparazione reale e non sia soltanto un modo per acchiappare quella licenza media che non si è raggiunta – per vari motivi – nella scuola pubblica.

Questo vale soprattutto per il biennio dei giovani, dove l’età si abbassa (si presentano a settembre ragazzine quattordicenni bocciate alla media, che hanno sentito del Lombardini e vorrebbero iscriversi a tutti i costi, vuoi perché ‘rifiutano’ l’altra scuola, vuoi perché sono attirate dal fatto di poter uscire di sera), dove appunto gli allievi sono sempre più ‘freschi’ di scuola e al tempo stesso ‘disadattati’ (come li definirebbe un consiglio di classe). Con la ripresa (notevole) delle bocciature nella scuola dell’obbligo, cresce, verso il Lombardini, una domanda di puro recupero: a ottobre la classe giovani era strapiena, rendendo a volte la lezione – e la possibilità di un lavoro a gruppi - fisicamente impossibile.

D’altra parte la selezione nella scuola pubblica non è più soltanto selezione di classe, nei termini in cui ne parlava e contro cui si batteva don Milani. Dei grossi passi avanti si sono fatti sul piano didattico, anche se l’attuale scuola dell’obbligo si rivela ancora incapace di un reale recupero delle disparità di partenza. Ma è anche vero che i messaggi sociali e i modelli di comportamento che i ragazzi ricevono in questa società, con questi mass-media, non favoriscono certo la capacità di volersi e sapersi impegnare per superare una piccola difficoltà, per imparare un poco a vivere e non solo a lasciarsi vivere.

Così questi problemi sono emersi anche nelle nostre discussioni sul come impostare la scuola; tra l’altro il ricambio fra gli insegnanti è notevole, ci sono dunque visioni diverse: chi punta ad una impostazione rigorosa di programmi e contenuti, con insegnanti capaci di una certa autorevolezza, e di far apprendere, anche a costo di maggiore disciplina, le capacità di base indispensabili; chi sostiene che è necessario ripartire dal colloquio con i ragazzi, perché solo in questo modo è possibile rompere il loro ‘risentimento’ contro la scuola precedente e arrivare poi ai contenuti.
Si è dunque deciso di puntare, per i giovani, ancora su una scuola di due anni, chiaramente diversa da quella degli adulti, ricercando una impostazione che eviti sia il tecnicismo, sia l’eccessivo psicologismo: il tempo dirà se questo compromesso è in grado di reggere, considerando anche che, in definitiva, ogni sera la scuola si fa come la riescono a fare quelli che ci insegnano e non tanto come, gli uni e gli altri, la vorrebbero quando ne discutiamo in assemblea!

Discussioni sul come impostare la scuola

Così questi problemi sono emersi anche nelle nostre discussioni sul come impostare la scuola; tra l’altro il ricambio fra gli insegnanti è notevole, ci sono dunque visioni diverse: chi punta ad una impostazione rigorosa di programmi e contenuti, con insegnanti capaci di una certa autorevolezza, e di far apprendere, anche a costo di maggiore disciplina, le capacità di base indispensabili; chi sostiene che è necessario ripartire dal colloquio con i ragazzi, perché solo in questo modo è possibile rompere il loro ‘risentimento’ contro la scuola precedente e arrivare poi ai contenuti.
Si è dunque deciso di puntare, per i giovani, ancora su una scuola di due anni, chiaramente diversa da quella degli adulti, ricercando una impostazione che eviti sia il tecnicismo, sia l’eccessivo psicologismo: il tempo dirà se questo compromesso è in grado di reggere, considerando anche che, in definitiva, ogni sera la scuola si fa come la riescono a fare quelli che ci insegnano e non tanto come, gli uni e gli altri, la vorrebbero quando ne discutiamo in assemblea!

Resta – e questo vale molto anche per le classi degli adulti – la necessità di una adeguata valorizzazione degli insegnanti e di una maggiore preparazione didattica. Non è più il tempo in cui le lezioni erano affidate ad un buon numero di intellettuali ‘che sapevano tutto’ e, fra gli allievi, diminuisce la presenza di persone pronte a contribuire ad una discussione in classe perché in condizione di riferire argomenti sociali, storici, scientifici al loro impegno nel lavoro, nel sindacato o in altri organismi. Il lavoro degli insegnanti è sempre più un lavoro di gruppo, che richiede più tempo, più fatica, qualche volta produce incertezze: i collaboratori sono in minima parte insegnanti di mestiere, danno una notevole disponibilità ma cercano anch’essi qualcosa dal Lombardini.

Se 15 anni fa la discussione su come fare scuola era direttamente un riflesso della discussione politica – così viva nella società e nella sinistra in particolare – oggi essa si presenta molto meno ideologica, più terra terra, ma non per questo facile: come riuscire a far fare qualche passo in avanti a chi – e sono tanti – non sa quasi scrivere, né far di conto, né riferire un brano appena letto, e, d’altra parte, come migliorare nei metodi senza rinunciare ad una scuola che al di là della preparazione all’esame vuol fornire alcuni strumenti per capire la storia e la realtà di oggi, per contrastare l’apatia, l’indifferenza e il qualunquismo.


Tratto dalla relazione annua 1983